Il Canto Di Coglionellus
Inviato: 05/12/2024, 18:42
ErnestoTrollLesto è lieto di annunciare la eccezionale scoperta di una poesia inedita di Dante Alighieri.
La poesia, destinata ad eguagliare la fama di "Tanto gentile e tanto onesta pare", dedicata a Beatrice, è stavolta dedicata ad un uomo di nome Coglionellus, che si presume essere ascendente in linea retta del molto meno famoso Coglionello, conosciuto in qualche chat contemporanea come "Troll Fasullo, Ominicchio e Quaquaraquà".
Canto di Coglionellus
Nel buio d’una stanza angusta e vana,
ove il tempo si spezza in ozio e sonno,
vivea Coglionellus, sorte profana,
figlio di madre ch’ebbe a vender il giorno,
e d’un ignoto padre, ombra svanita,
che mai lasciò né nome né ritorno.
Sopra il ventre materno egli s’appoggia,
ché lavoro gli par fatica dura;
fugge il sudor, che all’alma dà battaglia,
e innanzi al lume freddo d’una mura
si pone a scriver dardi, ingegno vano,
cercando l’ira altrui come ventura.
«Oh miseri mortali, stolto il vostro affanno!»
egli dice, credendo far rovina;
ma il ridicolo gli cade in mano.
A lui rispondon voci, fredda brina
che scherzo fa del suo parlar dimesso;
il troll si spegne in burla senza china.
E così torna a sé, l’animo oppresso,
ché della rete fu solo fantoccio,
e il ghigno altrui gli pesa come un sasso.
"O vita mia, qual sorte m’ha fatto coccio?"
geme in silenzio, ma tosto si leva:
ancor la tastiera chiama, e il suo approccio
ripete in cerchio, sì com’acqua cieca
che mai non trova foce né cammino;
il troll per sempre il suo destino reca.
Coglionellus, misero pellegrino,
in quella stanza chiuso come tomba,
sogna ma vive il nulla del divino.
La poesia, destinata ad eguagliare la fama di "Tanto gentile e tanto onesta pare", dedicata a Beatrice, è stavolta dedicata ad un uomo di nome Coglionellus, che si presume essere ascendente in linea retta del molto meno famoso Coglionello, conosciuto in qualche chat contemporanea come "Troll Fasullo, Ominicchio e Quaquaraquà".
Canto di Coglionellus
Nel buio d’una stanza angusta e vana,
ove il tempo si spezza in ozio e sonno,
vivea Coglionellus, sorte profana,
figlio di madre ch’ebbe a vender il giorno,
e d’un ignoto padre, ombra svanita,
che mai lasciò né nome né ritorno.
Sopra il ventre materno egli s’appoggia,
ché lavoro gli par fatica dura;
fugge il sudor, che all’alma dà battaglia,
e innanzi al lume freddo d’una mura
si pone a scriver dardi, ingegno vano,
cercando l’ira altrui come ventura.
«Oh miseri mortali, stolto il vostro affanno!»
egli dice, credendo far rovina;
ma il ridicolo gli cade in mano.
A lui rispondon voci, fredda brina
che scherzo fa del suo parlar dimesso;
il troll si spegne in burla senza china.
E così torna a sé, l’animo oppresso,
ché della rete fu solo fantoccio,
e il ghigno altrui gli pesa come un sasso.
"O vita mia, qual sorte m’ha fatto coccio?"
geme in silenzio, ma tosto si leva:
ancor la tastiera chiama, e il suo approccio
ripete in cerchio, sì com’acqua cieca
che mai non trova foce né cammino;
il troll per sempre il suo destino reca.
Coglionellus, misero pellegrino,
in quella stanza chiuso come tomba,
sogna ma vive il nulla del divino.